Adolfo Bartoli
Studiò alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove fu allievo di Enrico Betti e di Riccardo Felici, e si laureò in scienze fisiche e matematiche nel 1874.
Fino al 1876 fu assistente di Emilio Villari all’Università di Bologna e successivamente fu chiamato ad insegnare fisica presso l’Istituto Tecnico di Arezzo.
Fin dalla laurea aveva mostrato interesse per la pressione della radiazione, prevista da Maxwell già dal 1873 nel Trattato di elettricità e magnetismo, e nel 1874 quando comparve la descrizione del radiometro di Crookes, aveva avviato ricerche sperimentali "per vedere se fosse possibile o no, per impulsione diretta della luce o del calore, porre in moto un corpo".
Nel 1876 pubblicò il lavoro Sopra i movimenti prodotti dalla luce e dal calore e sopra il radiometro di Crookes (Firenze, Le Monnier). Nella terza parte della memoria, dopo aver dato una completa rassegna storica del problema della pressione della luce e avere esposto le sue considerazioni teoriche, mostra i risultati del suo lavoro sperimentale che evidenziano, per la prima volta, come il moto delle pale del radiometro sia dovuto non alla pressione della luce, ma al gas residuo. Nella seconda parte espone un esperimento ideale che dimostra come sia possibile trasferire per irraggiamento calore ad un corpo a temperatura più alta e, per non violare il secondo principio della termodinamica, ciò richiede che sia compiuto lavoro. Una possibile ipotesi, la più semplice ma non l’unica, è che la luce eserciti una pressione sulle pareti.
Questo contributo fu praticamente ignorato per circa 20 anni e ripreso nel lavoro Il calorico raggiante e il secondo principio della termodinamica pubblicato su Il Nuovo Cimento nel 1884 che stimolò Boltzmann, per sua esplicita ammissione, a dimostrare teoricamente l’esistenza di una pressione della radiazione, evidenziata sperimentalmente solo nel 1899 da Petr Lebedev.
Nel 1878 fu chiamato all’Università di Sassari, ma tornò dopo pochi mesi a Firenze avendo ottenuto la cattedra di fisica all’Istituto Tecnico provinciale.
In quegli anni i suoi interessi di ricerca si erano rivolti all’elettrochimica ed in particolare alla decomposizione dell’acqua, concludendo che un liquido contiene una parte di molecole dissociate, in ciò precorrendo la completa teoria della dissociazione di Arrhenius del 1887. Per questi lavori, pubblicati poi in Sulla corrente residua data dai deboli elettromotori e sulla costituzione degli elettroliti (Il Nuovo Cimento, 1882), ottenne un premio dall’Accademia delle Scienze di Bologna nel 1879 e dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1880.
Intorno al 1881 cominciò ad interessarsi di calorimetria e, quando nel 1886 si trasferì all’Università di Catania, proseguì una ricerca sperimentale sul calore specifico dell’acqua, in collaborazione con l’insegnante di liceo Emanuele Stracciati (ebbe tra i suoi allievi Orso Mario Corbino), durata nove anni con migliaia di esperimenti, pubblicata in Il calore specifico dell’acqua nel 1892.
Nel 1893 fu chiamato a succedere a Giovanni Cantoni alla cattedra di Fisica dell’Università di Pavia che era stata di Alessandro Volta e Giuseppe Belli, e continuò le misure intraprese dal 1885 sul calore solare in varie regioni d’Italia con un piroeliometro di sua ideazione, modifica di quello di Pouillet.
In quegli anni a Pavia viveva Albert Einstein che più tardi trattò la questione della pressione di radiazione e la ipotesi di Bartoli-Boltzmann in connessione ai suoi lavori sull’effetto fotoelettrico, ma non ci sono testimonianze di una diretta conoscenza tra i due.
Morì improvvisamente a Pavia nel 1896, a soli 45 anni.
Era socio e per lungo tempo segretario dell’Accademia Gioenia di Catania, socio dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze di Torino e della Società degli Spettroscopisti Italiani (che divenne poi la SAIt).
È autore di 160 pubblicazioni e note, purtroppo in gran parte in lingua italiana, il che ha nuociuto alla loro diffusione e conoscenza internazionale, anche se vennero spesso citate da importanti scienziati.
Nonostante l’importanza e l’influenza dei suoi contributi sia sperimentali che teorici, specialmente sulla pressione di radiazione e sull’elettrochimica, che lo collocano tra i più importanti fisici italiani dell’Ottocento, è stato incomprensibilmente ignorato sia dai libri di testo che dalla maggioranza degli storici della scienza.
Il ritratto di A. Bartoli è tratto da una foto conservata al Museo “Galileo” di Firenze – Archivio Iconografico (riproduzione gentilmente concessa).