James Prescott Joule

Figlio di un ricco birraio di Manchester, fu istruito privatamente fino a 16 anni, quindi inviato a studiare con John Dalton insieme al fratello Benjamin alla Manchester Literary and Philosophical Society. Divenne responsabile della birreria di famiglia fino alla sua vendita nel 1854. Era affascinato dalla scienza, in particolare dall’elettricità, anche se per lui era solo un hobby, tuttavia studiò la possibilità di sostituire i motori a vapore della birreria con il neonato motore elettrico e cominciò sin da ragazzo ad effettuare esperimenti in un laboratorio allestito presso la fabbrica. Nel 1838 pubblicò il primo lavoro sull’elettricità sugli Annals of Electricity, rivista appena fondata da William Sturgeon. Nel 1840 scoprì quella che ora è chiamata legge di Joule (sul riscaldamento di un conduttore percorso da corrente), ma venne ignorato dalla Royal Society che lo considerava un dilettante, per di più provinciale.

Quando W. Sturgeon si trasferì a Manchester, insieme fondarono un circolo cittadino di intellettuali allo scopo di discutere e organizzare conferenze specialmente sulla scienza applicata e sull’economia. Nelle sue prime conferenze Joule, da uomo d’affari, si interessò principalmente agli aspetti economici delle varie fonti di energia, per passare poi allo studio della convertibilità dell’energia. Nel 1841 pubblicò i risultati dei suoi esperimenti nei quali mostrava che il calore ottenuto nel passaggio di elettricità in un conduttore era generato nel conduttore e non trasferito da un’altra parte del conduttore, questa era una sfida alla dominante teoria del calorico che riteneva che il calore fosse un fluido che non poteva essere creato né distrutto. D’altra parte i sostenitori del calorico portavano come prova della reversibilità delle trasformazioni da elettricità e calore, gli effetti Seebeck e Peltier. ("On the heat evolved by metallic conductors of electricity" Philosophical Magazine, 19, 260, 1841)

In successivi esperimenti determinò l’equivalente meccanico del calore fissando in 838 ft·lbf (piedi·libbra) il lavoro necessario per innalzare di un grado Fahrenheit la temperatura di una libbra di acqua (noto come Btu, British thermal unit). Annunciò il risultato alla riunione della British Association for the Advancement of Science a Cork nel 1843, ma incontrò solo silenzio. Cercò quindi una convincente dimostrazione, puramente meccanica, della conversione di lavoro in calore, misurando il riscaldamento di acqua forzata a passare dai fori di un cilindro. Il valore ottenuto, dello stesso ordine di grandezza del precedente, lo convinse della convertibilità tra lavoro e calore. Cercò una terza strada, misurando il calore generato dalla compressione di un gas, ottenendo ancora valori in accordo con i precedenti (in unità moderne 4.43 J/cal). I suoi lavori, facile bersaglio di tante critiche nonostante fossero frutto di raffinati esperimenti, furono tutti respinti dalla Royal Society. Solo uno fu pubblicato dal Philosophical Magazine, in esso Joule espone il suo rifiuto della teoria del calorico, su basi essenzialmente teologiche: [questa teoria] è contraria ai principi della filosofia perché arriva alla conclusione che la “vis viva” possa essere distrutta, così Mr. Clapeyron, dal fatto che la temperatura del fuoco è 1000 gradi più alta di quella della caldaia, deduce che c’è una enorme perdita di “vis viva” nel passaggio di calore dalla fornace alla caldaia, ma io, credendo che il potere di distruggere appartenga solo al Creatore, affermo che ogni teoria che richieda la distruzione della forza è necessariamente erronea. (Philosophical Magazine, 23, 263, 1843)

Nel 1845 alla riunione di Cambridge della British Association Joule lesse il suo lavoro On the mechanical equivalent of heat contenente il suo noto esperimento nel quale un peso che scende fa girare un mulinello a pale dentro un recipiente isolato contenente acqua. Il valore misurato per l’equivalente meccanico del calore era ora di 819 ft x lbf/Btu (4,41 J/cal).

Molte delle resistenze che il suo lavoro incontrava erano dovute alla poca credibilità presso i contemporanei di esperimenti così precisi (p.es. sosteneva di misurare differenze di temperatura di 1/200 di °F), ma la sua abilità sperimentale gli derivava dalla sua esperienza industriale di birraio e dalla sua competenza tecnologica. Era anche aiutato da un abile costruttore di strumenti, John Benjamin Dancer.

Un anno prima Julius Robert von Mayer aveva pubblicato un lavoro in cui era enunciata l’equivalenza tra calore e lavoro, e nacque una polemica sulla priorità della scoperta anche se ai lavori di Mayer mancava un rigore quantitativo.

Tuttavia in Germania, Hermann von Helmholtz venne a conoscenza dei lavori di Joule e dei simili risultati di Mayer. I due erano entrambi sconosciuti e trascurati fino a quando la affermazione della conservazione dell’energia da parte di Helmholtz nel 1847 li rese di colpo famosi.

Nel 1847, inoltre, ad un’altra delle presentazioni tenute da Joule alla British Association ad Oxford assistettero George Stokes, Michael Faraday e il giovane William Thomson (poi Lord Kelvin), appena nominato professore a Glasgow. Stokes si dichiarò subito “joulista” , Faraday fu “molto colpito”, ma con molti dubbi e Thomson interessato, ma scettico.

Joule e Thomson si incontrarono di nuovo per caso a Chamonix, dove Joule era in luna di miele e Thomson per il giro del Monte Bianco, e tentarono di determinare, senza successo, la differenza di temperatura tra la base e la cima delle cascate di Sallanches. Tuttavia Thomson si convinse che i risultati di Joule meritavano un tentativo di spiegazione teorica e già nel suo lavoro del 1848 sulla temperatura assoluta, affermò in una nota i suoi dubbi sulla teoria del calorico, citando “le notevoli scoperte” di Joule. Nel 1851 non ebbe più dubbi e affermò che “l’intera teoria della potenza motrice del calore è fondata su due proposizioni, rispettivamente dovute a Joule e a Carnot e Clausius…”.

Appena letto il lavoro, Joule scrisse i suoi commenti a Thomson iniziando così una fruttuosa collaborazione, anche se quasi esclusivamente epistolare: Joule effettuava esperimenti e Thomson analizzava i risultati e dava suggerimenti su ulteriori esperimenti.

Megli anni tra il 1852 e il 1856 scoprirono l’effetto Joule-Thomson (raffreddamento di un gas reale per una brusca espansione adiabatica) e contribuirono alla nascita e affermazione della teoria cinetica. In effetti Joule, allievo di Dalton, credeva fermamente nella teoria atomica della materia, inoltre fu uno dei pochi a prendere in considerazione il dimenticato lavoro di John Herapath sulla teoria cinetica dei gas. Conscio della relazione tra le sue scoperte e la teoria cinetica del calore, ne cercò precursori nei lavori di Bacone, Newton, Locke, Davy e soprattutto negli esperimenti di Benjamin Thompson, Conte Rumford, cercando anche di ricavare da questi un valore per l’equivalente meccanico del calore in accordo con quello da lui determinato posteriormente, in polemica anche con Mayer che ne rivendicava la priorità.

Anche se tardivi, ebbe fama ed onori: membro della Royal Society dal 1850, su proposta di Lord Kelvin, insignito delle medaglie Royal e Copley nel 1852 e 1870, presidente della British Association nel 1872, ottenne lauree onorarie da Oxford, Dublino e Edimburgo.

Morì nella sua casa di Sale, e sulla sua tomba nel cimitero locale (e non in Westminster Abbey come erroneamente riportano varie biografie e dove si trova invece una lapide in memoria) è inciso il numero 772.55, il valore definitivo del 1878 per l’equivalente meccanico del calore (in unità britanniche, corrispondente a 4.16 J/cal).

In suo onore è stata chiamata joule (J) l’unità di misura SI del lavoro (e energia).