Francesco Maria Grimaldi

Figlio di Paride, un mercante della nota casata ligure dei Grimaldi, e di Anna Cattani, di nobile famiglia bolognese. Entrò nella Compagnia di Gesù a 14 anni, nel noviziato bolognese di S. Ignazio. Intraprese, due anni dopo, il corso di studi gesuitico, che prevedeva soggiorni in diversi collegi. Nel 1634 fu al noviziato di Novellara, dove studiò retorica, nel 1635 passò a Parma nel collegio di S. Rocco, dove seguì le lezioni di logica e incontrò Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), che vi insegnava teologia, quindi nel 1636 frequentò a Ferrara l’insegnamento di ‘physica’. In quell’anno a Ferrara non fu impartito il previsto insegnamento di matematica, per cui i suoi primi studi matematici potrebbero risalire all’anno precedente, con  Riccioli, oppure a un corso privato con Nicola Cabeo che era nel collegio di Ferrara come confessore. Infine nel 1637 seguì le lezioni di metafisica nella scuola bolognese di S. Ignazio.

Ritornato alla città natale e assegnato al collegio di S. Lucia, ove risiedette per il resto della sua vita, ritrovò Riccioli, da un paio di anni a Bologna come lettore di teologia scolastica. La loro conoscenza si trasformò, poco a poco, in una collaborazione intellettuale che ha pochi analoghi nella storia della scienza. Già nel 1639 i due iniziarono le osservazioni astronomiche, in un osservatorio allestito nel collegio, e gli esperimenti che fornirono il materiale della prima grande opera del Riccioli, Almagestum novum astronomiam veterem novamque complectens (1651), nonché di due sue altre più tarde, la Geographia et hydrographia reformata (1661) e l’Astronomia reformata (1665).

Riccioli riconosce il contributo di Grimaldi in almeno 40 esperimenti descritti nell’Almagestum novum, molti dei quali ideati per confutare le tesi galileiane del Dialogo, come quelli più famosi della caduta di palle dalla torre degli Asinelli o il lancio di proiettili di cannone in versi opposti rispetto al moto di rotazione della Terra.

Tra le osservazioni sicuramente attribuibili a Grimaldi (Riccioli dichiarò di essere troppo vecchio per passare le notti al telescopio) sono quelle che gli permisero di disegnare la famosa mappa lunare (Selenographia) nel volume I dell’Almagestum, la cui nomenclatura, pur con integrazioni derivanti da studi più recenti, è ancor oggi attuale.

Frequentò poi il corso teologico dal 1642 al 1646, fu ordinato sacerdote nel 1645 e nel 1651 pronunciò i voti. Dapprima ebbe l’incarico di lettore di ‘lettere umane’, poi era destinato a tenere un corso di filosofia, ma dal 1648, per la rinuncia del Riccioli, ebbe la cattedra di matematica, che tenne fino alla morte, con una continuità inconsueta nei collegi gesuitici nel secolo XVII. Come scrive Riccioli nel necrologio: Grimaldi era ben preparato ad insegnare tutte le matematiche: geometria, ottica, gnomonica, statica, geografia, astronomia e meccanica celeste.

Nel 1653 fu pubblicato a Bologna uno scritto anonimo che, anche se spesso legato al nome di Riccioli, è probabilmente di Grimaldi: Theses astronomicae de novissimo comete annorum 1652 et 1653. Certamente suo, anche se pubblicato sotto forma di tesi dei suoi studenti, è il De semidiametro terrae …  (1655), dove espose, con più dettagli e sviluppi applicativi, i risultati geodetici già presentati nel primo volume dell’Almagestum.

Collaborò, con Riccioli, Ovidio Montalbini e Giovanni Domenico Cassini, al progetto di determinazione della linea meridiana di Bologna, completato nel 1655.

Il contributo più importante dell’ultimo periodo della sua vita furono però le ricerche ottiche, confluite nella Physico-mathesis de lumine, coloribus et iride… (1665), conosciuto con il titolo sintetico di De lumine*.

Il suo interesse sperimentale per l’ottica, certamente precedente al 1658, sembra derivasse da problemi nelle osservazioni collegati alla tecnologia dei telescopi di allora. Nel dicembre 1661, la prima parte, interamente sperimentale, era terminata, ma ebbe vari problemi con la censura perchè le ipotesi interpretative, chiamate ‘opinioni’, che presentavano la luce, seppur con riserva, come una ‘sostanza’, erano in vari punti contrarie ad Aristotele e ammissibili con difficoltà. Le osservazioni dei revisori, le difficoltà di ottenere il permesso di stampa e la presenza nello stesso Grimaldi di una cultura di base aristotelica lo portarono a scrivere, tra il 1662 e il 1663, una seconda parte dell’opera nella quale il discorso appare più aristotelico e la luce viene presentata come un ‘accidente’ cioè una ‘qualità’ di un’altra sostanza. L’opera quindi già dal titolo completo appare peculiare, in pratica il secondo libro ha lo scopo di confutare le tesi del primo!

Il primo libro inizia con la descrizione dettagliata della sua più famosa scoperta, la diffrazione della luce: la luce solare veniva fatta passare da un foro e nel cono di luce poneva un piccolo bastoncino, notando che l’ombra di questo su di uno schermo appariva con i bordi sfumati, contrariamente a quanto previsto da una propagazione rettilinea. Questo viene da lui interpretato come un ‘avvolgimento’ del bastoncino da parte del fluido luminoso. Descrisse anche dettagliatamente le frange colorate che vedeva ai bordi e nell’ombra del bastoncino, che interpretò come una specie di interferenza: un corpo può diventare oscuro aggiungendo luce a quella che già lo illumina.

Chiamò il fenomeno diffrazione, col significato di separazione, termine latino già usato per la separazione di un flusso d’acqua da parte di un ostacolo.

Grimaldi non vide la stampa della sua opera. Moriva a Bologna infatti il 28 dicembre del  1663, dopo una settimana di intense febbri, e il permesso di pubblicazione sarebbe giunto dopo il maggio del 1664 e l’opera stampata nel 1665.

Il libro di Grimaldi ebbe pochissima diffusione, ma il suo esperimento della diffrazione fu reso noto soprattutto dal gesuita francese Honoré Fabri  (1607-88) nel Dialogi physici sex quorum primum est de Lumine (1669): il primo dei sei dialoghi contiene la descrizione dell’esperimento della diffrazione di Grimaldi (ma non accetta la sua spiegazione).

Un resoconto sintetico del De lumine apparve sulle Philosophical Transactions della Royal Society nel 1672 e portò Hooke ad eseguire i suoi esperimenti sulla diffrazione (da lui chiamata ‘inflessione’). Newton, invece, ne ebbe notizia dalla lettura di Fabri e dopo avere effettuato accurati esperimenti negò nel 1686 la reale esistenza delle frange scure interne mentre nella sua Ottica attribuisce le frange esterne colorate alla rifrazione. Una corretta descrizione della diffrazione si avrà solo con Joseph von Fraunhofer nel XIX secolo.

A Grimaldi fu intitolato un cratere lunare (vicino al cratere Riccioli).

Titolo completo: Physico-mathesis de lumine, coloribus, et iride, aliisque adnexis libri duo, in quorum primo asseruntur nova experimenta, & rationes ab iis deductae pro substantialitate luminis. In secundo autem dissolvuntur argumenta in primo adducta, et probabiliter sustineri posse docetur sentential peripatetica de accidentalitate luminis. Qua occasione de hactenus incognita luminis diffusione, de reflexionis, refractionis, ac diffractionis modo et causis, de visione, deque speciebus intentionalibus visibilium et audibilium, ac de substantiali magnetis efluvio omnia corpora pervadente, non pauca scitu digna proferuntur, et speciale etiam argumento impugnantur atomistae (Bologna, 1665).