Bruno Rossi

Compiuti gli studi universitari in fisica tra le Università di Padova e di Bologna, dal 1928 al 1932 fu assistente di Antonio Garbasso all’Università di Firenze, dove fondò la scuola fiorentina di fisica dei raggi cosmici all’Osservatorio di Arcetri (con Gilberto Bernardini, Giuseppe Occhialini, Giulio Racah). Nel 1932 diventò professore di fisica sperimentale a Padova, ma, essendo ebreo sposato con una donna ebrea (Nora Lombroso, nipote del notissimo antropologo Cesare), le leggi razziali lo costrinsero a cercare rifugio prima a Copenaghen, ospite di Niels Bohr, poi in Inghilterra e infine negli Stati Uniti. Tra il 1939 e il 1943 soggiornò prima alla University of Chicago (invitato da Arthur Compton ) e poi alla Cornell University dove fondò il gruppo di fisica dei raggi cosmici e fisica spaziale, della quale fu incontrastato punto di riferimento per almeno due decenni dopo la fine della guerra.

Fermi, nel 1943, lo chiamò a collaborare al Progetto Manhattan, sviluppato a Los Alamos in gran segreto. Ci pensò su tre mesi e alla fine accettò. Rifuggivo dall’idea di partecipare allo sviluppo di un ordigno così spaventoso, come sarebbe stata la bomba atomica. D’altra parte ero terribilmente preoccupato, così come molti altri, dal pericolo che in Germania, dove era stata scoperta la fissione, si fosse vicini a realizzare la bomba. Ricordo chiaramente con che animo decisi di andare a Los Alamos. Speravo che il nostro lavoro avrebbe dimostrato l’impossibilità di fare la bomba, ma avevo anche concluso che se, viceversa, la cosa fosse risultata possibile, occorreva evitare ad ogni costo che Hitler avesse la bomba prima di noi. Speravo che i militari si sarebbero accontentati di un test dimostrativo, davanti al quale tedeschi e giapponesi si sarebbero arresi. Si sa che le cose andarono diversamente.

All’atomica Rossi diede due contributi essenziali. Un ordigno nucleare esplode quando si forma una massa di uranio-235 di circa 5 chili (la "massa critica"). Bisognava trovare il modo di tenere l’uranio separato in pezzi più piccoli e poi di avvicinarli in una frazione di secondo al momento giusto per innescare la reazione a catena. Rossi risolse il problema studiando il modo di far implodere piccoli blocchi di uranio sotto l’azione di un esplosivo convenzionale. Il secondo contributo fu uno strumento per misurare la potenza del primo test nucleare. L’energia dell’ordigno si libera in gran parte sotto forma di raggi gamma nei primi centesimi di milionesimi di secondo dopo il raggiungimento della massa critica. Bisognava valutare quanti raggi gamma venivano emessi in quel tempo brevissimo: problema tutt’altro che semplice, ma che Rossi seppe risolvere grazie alla sua geniale pratica di laboratorio. Partecipò, tra l’altro al Trinity Test di Alamagordo, per misurare l’attività nucleare all’inizio della reazione a catena il 16 luglio del 1945 e venne atterrito dall’abbagliante fiammata, e dal gigantesco fungo. Hiroshima e Nagasaki hanno pesato sulla coscienza di Rossi fino all’ultimo giorno. La sua ferma contrarietà allo "scudo spaziale" di Reagan fu una specie di espiazione.

Dal 1946 fu professore al Massachusetts Institute of Technology (MIT) dove si affermò come una delle maggiori autorità internazionali nell’ambito della fisica dei raggi cosmici e della ricerca astronomica e spaziale. Gli americani lo apprezzavano, tra l’altro, perché sapeva trafficare con cavi e cacciaviti come un bricoleur. E poco importava che parlasse, almeno nei primi tempi, un inglese approssimativo, che suscitava l’ironia dei colleghi d’oltre Atlantico. Il lavoro a cui Bruno Rossi rimase più affezionato era un contatore di raggi cosmici basato sul circuito a coincidenza. Un apparecchio, diceva con modestia, più da elettricista che da astrofisico. Ma si deve a quello strumento se oggi sappiamo tante cose sulla pioggia di particelle nucleari che ci arriva dallo spazio.

Con il suo Cosmic Ray Group proseguì gli studi sui cosiddetti "muoni" e promosse ricerche di astronomia a raggi X, divenute possibili nel dopoguerra grazie all’evoluzione dei veicoli spaziali. Fu lui a progettare il primo esperimento per misurare da un razzo i raggi X emessi da sorgenti cosmiche. Bruno Rossi ed i suoi colleghi annunciarono nell’agosto 1962, la scoperta della prima sorgente X del cielo oltre al Sole, nota come Scorpius X-1. Si aprì così una nuova straordinaria finestra sull’universo, paragonabile per importanza alla finestra ottica inaugurata da Galileo con il suo cannocchiale e alla finestra radio scoperta da Jansky all’inizio degli anni 1930.

Maestro di varie generazioni di fisici al MIT, l’eredità di Rossi fu raccolta da Riccardo Giacconi (Premio Nobel 2002) che per primo ha esplorato a fondo il cielo nei raggi X con i satelliti "Uhuru" e "Einstein".

Al premio Nobel Rossi arrivò vicino, ma non riuscì a stringerlo tra le mani. Eppure la sua è davvero una storia di primati e di traguardi eccellenti.

Ritornò in Italia nel 1974, destinazione Palermo. Egli accettò infatti la cattedra di complementi di fisica generale, dove insegnò fino al 1980. Rientrò infine in America, per godersi i meritati successi.

Fecondo autore, scrisse anche un’autobiografia, lasciando ai posteri i suoi tormenti "umanitari" e il giudizio sul suo comportamento.

La NASA gli ha dedicato il nome del satellite per lo studio delle alte energie “Bruno B. Rossi X-ray Timing Explorer” (RXTE). Posto in un’orbita terrestre bassa, a circa 600 km di altezza, con un’inclinazione di 23 gradi, ha terminato le sue operazioni il 4 gennaio 2012, dopo poco più di 16 anni di attività, con l’osservazione della sorgente X denominata Scorpius X-1. Negli anni, grazie a RXTE sono state realizzate o confermate molte scoperte, tanto che, alla fine della sua operatività erano stati pubblicati più di 2.200 articoli scientifici basati sulle osservazioni del satellite.