Albert Einstein

Figlio di un piccolo industriale, quando ha un anno la famiglia, di ebrei non praticanti, si trasferisce a Monaco di Baviera. Il piccolo Albert era un solitario e impara a parlare molto tardi. L’incontro con la scuola è da subito difficile: trovava le sue consolazioni a casa, dove la madre lo avvia allo studio del violino e lo zio Jacob a quello dell’algebra. Da bambino, legge libri di divulgazione scientifica con quella che definì "un’attenzione senza respiro". In seguito parlerà con amarezza dei primi corsi scolastici perché insofferente alla disciplina e all’autorità che rendevano la scuola, a quei tempi, simile ad una caserma.

Nel 1894 la famiglia si trasferisce in Italia per cercarvi miglior fortuna con una fabbrica a Pavia. Il padre Hermann esortò il figlio a iscriversi al famoso Politecnico Federale di Tecnologia (ETH) di Zurigo. Non avendo però conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, nel 1895 dovette affrontare un esame di ammissione e fu bocciato per insufficienze nelle materie letterarie (aveva 16 anni – normalmente l’esame si affrontava a 18), nonostante le non comuni capacità mostrate nelle materie scientifiche. Il direttore del Politecnico esortò il ragazzo a ottenere un diploma abilitante nella scuola cantonale di Aarau. Qui Einstein trovò un’atmosfera ben diversa da quella del ginnasio di Monaco. Nel 1896 può finalmente iscriversi al Politecnico. Prende una prima decisione: non farà l’ingegnere, ma l’insegnante e, in seguito, nel corso dei suoi studi a Zurigo (ebbe tra gli insegnanti Hermann Minkowski), matura la scelta di dedicarsi alla fisica piuttosto che alla matematica.

Si laurea nel 1900 e prende la cittadinanza svizzera (che manterrà per tutta la vita) per assumere un impiego all’Ufficio Brevetti di Berna. Il lavoro gli consente di dedicare gran parte del suo tempo allo studio della fisica. Sposa Mileva Maric, di origine serba, sua collega di università, dalla quale ebbe tre figli – Lise (non riconosciuta, non se ne seppe più nulla fino al 1987), Hans Albert e Eduard – e dalla quale si separò nel 1914.

Nel 1905 pubblica sugli Annalen der Physik cinque basilari studi teorici. Il primo, sulle dimensioni molecolari, è la sua tesi di dottorato; il secondo lavoro, sui quanti di luce (comunemente noto come il lavoro sull’effetto fotoelettrico) conteneva un’ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce, ipotizzando che l’energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso fosse proporzionale alla frequenza della radiazione; il Premio Nobel nel 1921 fu assegnato ad Einstein, ufficialmente, per questo lavoro. Il terzo lavoro riguarda la teoria dei moti browniani e il quarto, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, contiene la prima esposizione della teoria della relatività ristretta. L’ultimo, sul contenuto di energia dei corpi, introduce la famosa equivalenza tra massa ed energia. Questi argomenti saranno poi ripresi negli anni successivi.

In quello stesso anno ebbe un incarico all’Università di Zurigo, dalla quale nel 1911 si trasferì a Praga, allora sotto il dominio austro-ungarico. Nel 1912 tornò a Zurigo come professore del Politecnico; nel 1914 per interessamento di Max Planck si trasferì a Berlino, dove rimase per quasi un ventennio ricoprendo la cattedra di fisica dell’Accademia prussiana delle Scienze e succedendo a Van t’Hoff nella direzione del Kaiser Wilhelm Institut. A Berlino sposò la cugina Elsa Löwenthal.

Nel 1916 pubblica la memoria: I fondamenti della teoria della Relatività generale, frutto di oltre dieci anni di studio. Questo lavoro è considerato da Einstein stesso il suo maggior contributo scientifico e si inserisce nella sua ricerca rivolta alla geometrizzazione della fisica. In varie occasioni egli ebbe a dire che la teoria della relatività ristretta sarebbe stata enunciata anche senza di lui, poiché essa era nell’aria, mentre assai più difficilmente qualcuno avrebbe pensato, in assenza di clamorosi fatti sperimentali, a rimettere mano alla teoria della gravitazione che pareva definitivamente sistemata da Newton.

Nel 1924 elabora la statistica di un gas di fotoni (Bose-Einstein) e nel 1927, al congresso Solvay, esprime chiaramente il suo disaccordo con la interpretazione dominante, probabilistica, della meccanica quantica, isolandosi in questo dalla quasi totalità della comunità dei fisici, isolamento accentuato nel 1935 dopo la pubblicazione del lavoro con Podolsky e Rosen (paradosso EPR). L’opera che occupò prevalentemente la sua mente per i successivi trent’anni fu il tentativo di elaborare una teoria di campo che unificasse la teoria del campo elettromagnetico e di quello gravitazionale; benché questo sforzo di elaborazione teorica non sia giunto a risultati conclusivi, esso resta pur sempre uno dei punti più alti raggiunti dal pensiero scientifico di tutti i tempi.

Accanto all’attività di ricerca scientifica, egli svolse un’importante azione nel campo della discussione filosofica sui fondamenti della scienza e della divulgazione scientifica, attraverso conferenze, articoli, voci di enciclopedia e opere quali Sulla teoria speciale e generale della relatività, (1917, tr. it. 1921) e L’evoluzione della fisica, (1938, ed. it. 1948) scritto in collaborazione con Leopold Infeld.

A causa delle persecuzioni razziali lasciò nel 1932 la Germania, stabilendosi prima in Belgio e successivamente negli Stati Uniti d’America, a Princeton, presso l’Istituto di Studi Avanzati. Nel 1936 fu colpito dalla perdita della moglie. Ottenne nel 1944 la cittadinanza americana tra le proteste di chi lo considerava un immigrato ebreo, comunista ed ateo.

Di animo sensibile, amava la buona musica e fu egli stesso eccellente suonatore di violino. Cospicuo fu il suo impegno sociale e civile, i suoi ideali furono la giustizia, la tolleranza fra gli uomini, il rispetto per l’uomo, l’opposizione alla guerra e ad ogni violenza e ad essi egli si mantenne fedele anche con prese di posizione pubbliche. Nel 1914 rifiutò di firmare il manifesto degli intellettuali tedeschi che giustificava l’aggressione tedesca contro il Belgio, si adoperò per tutelare gli Ebrei e per ridar loro una patria in Palestina (gli fu offerta la presidenza dello Stato di Israele, che tuttavia rifiutò), protestò contro la violenza nazista e non lesinò gli sforzi per dare aiuto ai perseguitati dalla ferocia hitleriana.

Nel 1939, quando ormai dilagava l’oppressione nazista in Europa, a lui si rivolsero Fermi, Szilard e Wigner per chiedergli di sollecitare con la sua autorità l’appoggio del presidente Roosevelt al progetto per la preparazione della bomba atomica. La scelta fu per lui drammatica: continuare a negare ogni appoggio a qualsiasi iniziativa bellica correndo il rischio che i Tedeschi arrivassero per primi al possesso della terribile arma o rinunciare a idee affermate per decenni. La necessità di opporsi alla minaccia del dominio nazista sul mondo lo indusse a scrivere la storica lettera che diede il via al Progetto Manhattan. Per dieci anni, dal 1945, data della distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki, fino alla sua morte, mise tutto il proprio prestigio al servizio della causa dell’uso pacifico dell’energia atomica e del pacifismo. Ben comprensibile il suo dramma: di uomo alieno da ogni violenza che si trovò ad essere considerato il padre della bomba atomica, non solo per aver enunciato la famosa equazione che stabilisce l’equivalenza fra massa ed energia, base teorica di tutte le ricerche nel campo dell’utilizzazione dell’energia nucleare, ma per essersi direttamente impegnato perché si ponesse in atto la costruzione della bomba.

«È l’arte suprema dell’insegnante, risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza» Albert Einstein